Evan Holloway – David Korty 2002 Press Release

Galleria Raucci/Santamaria – Piazza S.Maria La Nova 19 – 80134 Napoli – tel. 0815521000

 

EVAN HOLLOWAY – DAVID KORTY

Inaugurazione : sabato 2 febbraio 2002

Dal 2 febbraio al 2 marzo 2002

 

Il conseguimento di soluzioni e risultati che migliorino o semplicemente modifichino uno status precedente, risiede quale condizione connaturata nell’uomo.

L’invenzione della prospettiva come tecnica visuale, ideata agli inizi del Quattrocento da Brunelleschi e codificata da Alberti, nasce da una complementare visione antropocentrica, e, quindi, dalla necessità di fare chiarezza sulla condizione percettiva dell’uomo in termini di profondità e di distanza, in uno spazio empirico o contingente, fisico o mentale.

L’uso della prospettiva nella scultura di Evan Holloway (La Mirada, CA 1967) genera ammiccanti effetti di perversione percettiva; se è vero che la scultura si pone fuori della finzione dello schermo bidimensionale della pittura, l’ opera di Holloway obbliga comunque ad una fruizione bi-dimensionale: dell’oggetto prima (la scultura) e del suo supporto poi (il disegno). E’ il rapporto tra il virtuale spazio prospettico ed un oggetto fisico situato entro tangibili coordinate spazio-temporali; è un rapporto speculare che crea confini instabili tra una rassicurante convivenza ed un costante equilibrio precario.

Tuttavia, l’ uso anche solo speculativo della prospettiva può essere al contempo strumento di verifica capace di annullare gli effetti della precedente ‘degenerazione’ percettiva. Succede quando due parole, inserite nella cornice prospettica di un corridoio scandito da un lungo colonnato a volta, sebbene capovolte non modificano il proprio significato (Draw Award 1998), o quando le corde ribaltate di un pianoforte non creano alterazioni di sorta alle “Sonate” di Chopin ( Music of Chopin Performed on the Reversed Piano 2000).

Lo scarto tra lo spazio percepito e quello realizzato è il risultato della ricerca di David Korty (San Francisco,CA 1971). Ciò che in Korty non è alterato percettivamente, lo è poi nel risultato delle sue tele dove l’iconografia paesaggistica realizzata (sia essa naturale o metropolitana), trova collocazione in uno spazio certo, misurabile, in cui, tuttavia, luci, alberi, edifici, persone, soffrono della stessa inconsistenza di cui è fatto il colore. L’uso diluito di quest’ultimo pone il soggetto/oggetto rappresentato costantemente in bilico tra realizzazione approssimativa ed andamento calligrafico e descrittivo. E’ la generata instabilità dei piani di lettura la causa dell’ inevitabile dissolvimento spaziale.

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